La battaglia di Kursk – Massimo Facchini

La battaglia di Kursk – Massimo Facchini

La battaglia di Kursk fu una delle battaglie decisive della Seconda guerra mondiale e rappresentò il più grande scontro di carri armati della storia.
Nei primi mesi del 1943, dopo la tremenda disfatta di Stalingrado, e dopo la temporanea rivincita ottenuta dai tedeschi sul fronte di Kharkov, l’OKW, il Comando supremo tedesco, si trovò alle prese con un compito superiore alle sue forze. La fine incombeva sulle forze italo-tedesche delle Tunisia (si sarebbero arrese nel mese di maggio) e possibili sbarchi alleati avrebbero in breve minacciato il suolo dell’ormai estenuato alleato italiano. Dopo anni di supremazia strategica le armate del Terzo Reich segnavano il passo, decimate da perdite molto gravi in uomini e materiali. In seno ai vertici germanici si andò profilando un forte contrasto sulla strategia da adottare contro l’Unione Sovietica. Una parte dei generali tedeschi voleva stabilizzare l’immenso fronte russo, fortificandolo e cercando di trattenere i sovietici dalle offensive che sicuramente stavano pianificando, al riparto di grandi cinture fortificate. Questa, in particolare era l’idea di Rommel, reduce dalla sconfitta di El Alamein dell’autunno precedente, che conosceva bene, per averla subita, l’enorme supremazia della gue dei materiali: il suo progetto era quello di stabilizzare il fronte russo cingendolo di una profonda e impenetrabile cintura fortificata basata su trincee e capisaldi anticarro, più profonda possibile. Solo in quel modo, riteneva il Feldmaresciallo, si poteva fermare i russi, che continuavano ad avere una impressionante superiorità di mezzi e uomini, e soprattutto, non davano segni di cedimento.
Al contrario, invece, un’influente parte dei generali tedeschi – in particolare Kurt Zeitzler, il comandante in capo dell’OKH, il Comando supremo dell’esercito, e von Manstein, uno dei migliori strateghi tedeschi – premeva per la ripresa dell’offensiva, in modo da distruggere una volta per tutte il potenziale bellico sovietico. Ritenevano, sbagliando in maniera clamorosa, che l’esercito sovietico si potesse sconfiggere con una serie di battaglie campali manovrate, alla vecchia maniera della blitzkrieg, la guerra lampo, come ai tempi della grande invasione del 1941. I generali di stato maggiore tedeschi di quello scorcio della guerra ritenevano ancora la battaglia campale di annientamento, di impianto napoleonico, come il momento culminante di ogni guerra e premevano per coinvolgere le forze sovietiche in uno scontro campale che le avrebbe distrutte, grazie alla innata superiorità tattica e strategica germanica. Non capirono che nella guerra totale che si stava combattendo sul fronte russo, una battaglia di annientamento non significava nulla per il nemico, che disponeva di risorse materiali immense e che era disposto a metterle tutte in gioco. L’esercito sovietico aveva imparato le durissime lezioni del ’41 e del 42, e a Stalingrado aveva dimostrato di poter combattere alla pari contro i tedeschi con forze ben addestrate, motivate e tatticamente ben disposte sul campo, e con materiali se non superiori ai quelli tedeschi almeno di pari livello.
Hitler, che dopo la distruzione della 6° Armata di Von Paulus, aveva praticamente perso ogni fiducia nei suoi generali, non voleva riprendere l’offensiva, ma per motivi politici si fece convincere ad emanare l’Ordine operativo n. 6 del 15 aprile 1943, che stabiliva di condurre una forte offensiva per eliminare completamente il saliente di Kursk, in codice Operation Zitadelle. Il piano fu formulato dal generale Kurt Zeitzler. Il saliente in questione era quello di Kursk, con un fronte di più di quattrocento chilometri e una base di cento, e che era il risultato dell’offensiva vittoriosa di Von Manstein di marzo. Il saliente si incuneava profondamente nella linea tedesca e rappresentava nello stesso tempo una minaccia per le linee tedesche e nel contempo, una allettante occasione per distruggere e intrappolare ingenti forze sovietiche.

I tedeschi cominciarono allora ad ammassare ingenti forze alle due estremità del saliente, integrando le forze corazzate con nuovi modelli di carri armati, tra i quali i poderosi Tigre, Pantera e Ferdinand. Le forze armate tedesche pronte all’offensiva alla fine di giugno contarono su 2.696 carri e cannoni d’assalto (il 65% della forza totale corazzata presente sull’intero fronte orientale), con una densità nei due punti di rottura previsti di 30-40 carri per chilometro di fronte e 780.900 soldati. A nord del saliente operava la 9a Armata al comando del generale Model, composta da tre corpi d’armata corazzati e due di fanteria, con l’ausilio della 6° Luftflotte. A sud l’attacco principale, in direzione di Kursk con la 4° Armata panzer, composta da due corpi d’armata corazzati e uno di fanteria, e il Gruppo d’armata Kempf, dal nome del suo comandate, composto da un corpo d’armata corazzato e due corpi d’armata di fanteria. Punta di lancia del fronte meridionale era il II° Corpo d’armata corazzato SS al comando del Obergruppenführer Paul Hausser, composto dalla Leibstandarte, dalla Das Reich e dalla Totenkopf, con una media di 170 carri e semoventi d’assalto ciascuna.
I russi conobbero il piano d’attacco tedesco alla fine di marzo (addirittura prima dell’emanazione dell’ordine), in base alle informazioni di una spia che operava nel comando supremo tedesco o forse nello stesso entourage di Hitler (Borman?) e dal governo inglese che confermò l’attacco in base alle decifrazioni di Ultra. Una parte dei generali sovietici voleva attaccare subito i tedeschi prima che questi dessero il via all’offensiva, ma il comando supremo decise saggiamente, dietro consiglio di Zhukov, di attender l’attacco tedesco e contrattaccare dopo che questi si fossero indeboliti contro le difese russe.
I sovietici cominciarono allora a fortificare il saliente munendolo di una poderosa cintura fortificata con campi minati, punti di resistenza muniti di pezzi controcarro disposti a scacchiera, bunker, trincee e reticolati, estesa in profondità per otto fasce difensive principali. In totale difendevano il saliente circa 20.000 cannoni e mortai, 6.000 pezzi anticarro e 920 batterie di lanciarazzi Katyusha, i famosi e micidiali Organi di Stalin, un razzo dei quali faceva un cratere di sei sette metri di diametro per due o tre di profondità! Alla fine della primavera i sovietici disposero migliaia di mine con una densità di 2.500 mine anticarro e antiuomo per chilometro quadrato.
Il comando supremo sovietico predispose i piani di difesa sotto la supervisione del maresciallo Zhukov, che guidò e diresse la battaglia. La parte nord del saliente fu assegnata al Fronte Centrale al comando del generale Rokossovsky, che disponeva di cinque armate di fanteria e una corazzata; a sud fu schierato il Fronte di Voronezh, al comando del generale Vatutin, con due armate di fanteria, due armate della guardia e una armata corazzata. Di riserva al centro del saliente e nell’immediata retrovia il Fronte della Steppa, guidato dal generale Konev, con tre armate di fanteria, una corazzata e una della guardia. Ricordiamo che le grandi unità sovietiche erano sensibilmente più piccole delle corrispondenti germaniche: il fronte equivaleva grosso modo a un’armata tedesca, un’armata era in realtà l’equivalente di un corpo d’armata tedesco, una divisione era a volte meno della metà dell’equivalente tedesca. In totale i sovietici disponevano di 1.272.700 soldati e 5.040 cannoni e semoventi d’assalto, superando i tedeschi sul numero di 2,5 a 1. Misero in campo in totale 77 divisioni di fucilieri, 1 corpo d’armata corazzato, 5 brigate indipendenti di fucilieri, 8 corpi d’armata corazzati, 14 brigate autonome.
L’attacco tedesco a Kursk fu rimandato di mese in mese in attesa delle principali forniture di mezzi corazzati, ma alla fine di giugno il momento arrivò. I russi furono avvisati dai loro informatori che l’attacco sarebbe iniziato tra il 3 e il 6 luglio e misero tutti i fronti in allarme. Alle 4.30 del 5 luglio un uragano di fuoco si abbatté sulle linee sovietiche di fronte alla 9° armata tedesca e 590 carri, in massima parte però vecchi Panzer III 3 e Panzer IV, seguiti dalla fanteria cominciarono a premere in maniera possente sulle linee russe, appoggiati da nugoli di Stukas e caccia bombardieri. I russi risposero con una furia incrollabile e con l’apertura del fronte meridionale i combattimenti raggiunsero una intensità spaventosa. Probabilmente la battaglia di Kursk fu la battaglia terrestre più terribile di tutta la storia militare. La 9° Armata si aprì la strada metro per metro ma all’11 luglio aveva guadagnato circa 10 chilometri in profondità su un fronte di 40 chilometri, subendo gravi perdite in fanteria e carri. A Ponyri un villaggio fortificato lungo la direttrice del XLI° corpo d’armata corazzato tedesco, la battaglia infuriò con una spietatezza unica negli annali; i tedeschi occuparono metà del villaggio ma il 12 luglio la battaglia si esaurì per la spossatezza dei combattenti.
Il fronte sud fu quello che diede maggiori possibilità di sfondamento ai tedeschi e il 6 luglio erano penetrati per trenta chilometri nelle linee nemiche anche se a prezzo di molte perdite. La Luftwaffe stentò ad appoggiare efficacemente le truppe a terra in quanto fu rifornita con poco carburante. Inoltre le linee di approvvigionamento tedesche per linee esterne resero problematici i rifornimenti. Il II° Corpo d’armata corazzato SS penetrò in direzione di Luchki subendo continui contrattacchi, mentre ai lati dello schieramento le altre unità stentavano a tenere il passo a causa della durissima e tenace resistenza russa. Una buona parte dei carri Pantera e dei Tigre ebbe noie meccaniche, mentre i Ferdinand, che non possedevano armi di difesa ravvicinata caddero uno ad uno preda dei guastatori russi.
Il 12 luglio avvenne lo scontro terribile di Prokhorovka, tra circa 600 carri tedeschi e 900 sovietici, tra i quali 500 erano T 34, 264 T-70 e 35 erano Churchill III forniti dai britannici.
I carri di ambedue le parti giunsero a contratto ravvicinato e come nelle cariche di cavalleria di un tempo la mischia fu terribile; nessun reparto aveva il tempo di raggrupparsi e riordinarsi in formazione, per cui il combattimento si tramutò in una mischia selvaggia di proporzione e ferocia inaudita. Alcuni carri arrivarono a speronarsi, e i cannoni sparavano a bruciapelo facendo letteralmente saltare in aria scafi, torrette ed equipaggi. Un denso, nero fumo cominciò a salire alto mentre i bagliori delle esplosioni rendevano il cielo rosso sangue. Alla fine della giornata dopo l’intervento di tutte le riserve sovietiche e tedesche a disposizione, un numero enorme di carri rimase sul terreno: quasi 200 carri tedeschi contro 400/500 carri russi distrutti!
Il giorno dopo la battaglia di Prokhorovka l’offensiva parve esaurirsi. Quel giorno nella Tana del lupo, il quartier generale del Fuhrer, von Manstein e von Kluge fecero rapporto a Hitler che non era più possibile continuare gli attacchi: i russi, inoltre, stavano contrattaccando in forze a nord e l’armata di von Kluge stesso era già in grosse difficoltà. Stava cominciando la battaglia di Orel che determinò la caduta successiva entro agosto, del grande saliente tedesco. Di fronte a queste notizie allarmanti Hitler, che non aveva mai visto di buon occhio l’offensiva, diede ordine di annullare Zitadelle. Gli scontri proseguirono a livello locale sino al 19 luglio e alla fine le perdite furono gravi per entrambi gli schieramenti. I russi persero 177.847 soldati dei quali 70.330 caduti e 107.517 feriti, con una media giornaliera di perdite di 9.360 unità. Le cifre tedesche sono più difficili da stimare ma le fonti più accreditate parlano di circa 70.000 uomini persi tra morti, feriti, dispersi e prigionieri.
Da quel momento e per tutta la durata della guerra l’iniziativa sul fronte orientale passò definitivamente ai russi, sino alla battaglia finale di Berlino.

Bibliografia

  • Glantz David, The Battle of Kursk, University Press of Kansas, 1999
  • Chicano Javier Ormeno, La batalla de Kursk, Almena Ediciones, 2007
  • Lodieu Didier, III° Pz. Korps at Kursk, Histoire & Collections, 2006

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